La testimonianza di un nostro lettere che vuole essere una riflessione sul problema alcool tra i giovani e il loro rapporto con le famiglie.
L’altra sera intorno all’1.30 mi sono imbattuto in un giovanissimo ragazzo riverso a terra a Porto San Giorgio. Pancia in sotto, quasi soffocato dai coniati di vomito, occhi chiusi e risposte quasi assenti. Al suo fianco gli amici che l’avevano trovato così. L’istinto è stato quello di fare qualcosa e chiamare il 118. Poco più in là altri giovani tutti intorno ai 16 anni. C’era chi si preoccupava di non chiamare nessuno perché poi la reazione di altri genitori poteva costare cara.
“Te l’avevo detto di non mangiare quella robaccia…”
Intanto quel ragazzo inerme sul gradino della piazza passava nel disinteresse degli altri giovani e nello sconforto di qualche adulto che, preoccupato, aveva chiamato i soccorsi. Dieci, quindici minuti ed è arrivato il genitore preoccupato di capire cosa fosse successo.
“Erano stati a cena al kebab, ne aveva mangiati, ben 3”- raccontava un amico. Ed è in quell’istante che va in scena la tragedia del disastro giovanile d’oggi nel rapporto tra giovani generazioni e genitori (senza generalizzare, sia inteso): il genitore, nell’intento di svegliare il figlio sostenendolo, diceva: “te l’avevo detto di non mangiare quella robaccia”. Quasi a voler nascondere il vero dramma mal celato dell’ alcool.
L’ambulanza ancora non arrivava e il genitore stesso ha chiesto di rinunciare all’assistenza, così hanno richiamato il 118 e l’operatore sanitario ha voluto parlare col genitore che ha fornito i suoi dati continuando nella sua opera di sostenere il figlio.
Lo accarezzava sperando che si riprendesse dall’indigestione di kebab…
Non diamo sempre la colpa ai giovanissimi, a volte prendiamocela pure con gli adulti. Compresi quelli che, per profitto, rifilano alcolici senza guardare se davanti al bancone ci sia un ragazzino o meno.