Il dopo Livini? Dovrà essere un’altra storia rispetto al passato.
Un altro libro da aprire sulla sanità. Una nuova pagina da scrivere, differente da quello che è stato. Lo chiede Bruno Nepi, caposala all’ospedale Murri, operativo nelle sale operatorie e oggi in pensione. Un’esperienza trentennale, la sua, in ambito sanitario, ex coordinatore del Tribunale dei diritti del malato a Fermo. Tanti medici e infermieri, fuori microfono, hanno detto prima di Nepi le stesse cose, ma lui ci mette la faccia e tira fuori vent’anni di malasanità: «questa è l’ultima occasione di recuperare per il fermano – dice – stavolta i cittadini non staranno zitti, se le cose dovessero andare per il verso sbagliato. Si riparte da zero. Quello che è stato fatto finora non è criticabile, è acqua passata. Adesso, però, si cambia passo».
In questo discorso gli ultimi tre direttori d’Area Vasta: Gianni Genga, Alberto Carelli e Licio Livini sono acqua passata. Facevano parte di un sistema che ha visto il fermano soccombere allo strapotere della Regione, la politica ha dato sempre le carte. Il coronavirus ha rimesso tutto in discussione «perché dopo il covid sono tutti più consapevoli del funzionamento della sanità, c’è un’attenzione particolare alla salute e si chiede di cambiare marcia dopo vent’anni di inerzia e sottomissione alla Regione». Con Nepi c’è un gruppo coeso di cittadini. C’è l’insegnante in pensione Tania Gallucci, l’infermiere Giuseppe Diomedi, l’avvocato Federico Tentoni.
I quattro si rivolgono alla dirigente dell’Asur delle Marche Nadia Storti, chiedono a lei di tenere in considerazione il fermano e di scegliere un nome di qualità al vertice dell’Area Vasta 4. «I piccoli ospedali di Montegiorgio, Porto San Giorgio, Sant’Elpidio a Mare e Montegranaro li hanno chiusi senza sentire i cittadini che avevano protestato, non c’è stato niente da fare, hanno fatto un piano un po’ allegro – afferma Nepi – sono arrivati i manager del Piemonte a dirigere i reparti negli anni novanta/duemila. Non conoscevano minimamente il nostro territorio e stavano ai diktat della Regione. Così si sono sempre più allungate le liste di attesa, è venuto a mancare il personale medico e non medico. Rendiamoci conto che abbiamo un solo macchinario per la tac e uno per la risonanza magnetica, anche se qualcosa proprio adesso si sta muovendo. Sono sorte strutture sanitarie private, accreditate dalla Regione, che hanno sopperito alle carenze della sanità pubblica, ma i cittadini si ritrovano a pagare due volte: il pubblico e il privato».
Arriviamo a oggi «non è stata la pandemia a mettere in crisi il sistema sanitario fermano – avverte Nepi – il piano di emergenza va applicato, i medici e personale non medico in pensione vanno sostituiti con nuovi assunti. Vanno fatti i concorsi. Il nuovo dirigente deve essere un professionista della salute competente, uno che conosce le strutture e il territorio. Deve essere capace di capire come funziona un reparto».
All’ospedale di Campiglione non contano tanto le mura che stanno vendendo su, come dice Cesetti (Fabrizio consigliere regionale Pd, ndr). «Conta cosa mettiamo dentro, dovrebbe già esserci un piano perché fra un anno e mezzo, come dicono, deve essere operativo». Il robot di assistenza chirurgica del quale tanto si sta parlando in questi giorni? «Per l’uso di tali apparecchiature vogliamo specialisti interni preparati» la chiosa.