Avete mai incrociato lo sguardo di una moglie e di un figlio mentre gli viene portato via il marito-padre dagli angeli con lo scafandro? Covid il maledetto dipinge, in questa stralunata quotidianità, scene di vita che restano così impresse negli occhi da essere interiorizzate.
Il flashback è quello di una strada con coda di auto. Il moto bloccato non fa divagare lo sguardo oltre l’ambulanza. Lì a pochi metri due umani, ma veramente umani, irriconoscibili se uomini o donne per via di quei scafandri bianchi che da un anno a questa parte conosciamo tutti bene per via della pandemia. Incappucciati, con la mascherina e la visiera. Sembrano astronauti ma così dolci nei movimenti da far emergere l’altruismo della loro missione. Hanno occhi solo per quell’essere umano sulla barella: maneggiano fili, sono attenti, delicati, forse sussurrano qualche parola.
Alle spalle di questi due angeli vestiti di bianco, il silenzio di uno sguardo attonito, perso nel vuoto di chi vede un familiare nella sofferenza andar via. Chissà cosa c’è dietro gli occhi di quella donna e di quel figlio: pensieri, ricordi, preghiere. O forse un incoraggiare con la forza del pensiero ma nello stesso tempo anche quell’atroce assunto: forse questa è l’ultima volta che vedo il mio amato padre o marito.
La distanza imposta dai protocolli è così atroce da non poter neanche mettere la mano nello sportello dell’ambulanza per una carezza, per dire … ci siamo, ti aspettiamo. La mano della donna che scivola sotto i suoi occhi sembra essere un tutt’uno con lo sportellone dell’ambulanza che si chiude.
Il clacson dell’auto dietro suona, la colonna torna in movimento ma l’immagine nello specchietto di quelle due persone appoggiate sul cancello di casa non svanisce. Resta negli occhi, scolpita per quanto è cinico il covid.